Gianni Maltese, un signore del verso
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Un primo piano di Gianni Maltese |
Il Maltese in questo “concept-book nel quale confluiscono una notevole varietà di registri linguistici […] è pienamente riuscito nell’impresa tutt’altro che banale di conciliare una lirica profondamente intimista e introspettiva, incentrata in particolare sulla visceralità tumultuosa del sentimento amoroso, con la solennità aulica ed evocativa di uno stile estremamente manierista e narciso. Senza tuttavia mai sfociare nella stucchevolezza velleitaria dell’esercizio di uno stile autoreferenziale e fine a se stesso, o in una fatua ostentazione di virtuosismi formali dall’eleganza regale, ma sostanzialmente scevri di contenuti […] Ai vocaboli di matrice prettamente arcaica l’autore affianca (nella vivacità del suo sperimentalismo dinamico e originale) termini assai più prosaici e quotidiani mutuati dalla lingua di uso comune, convolando così a nozze, in una riuscitissima e affascinante commistione. Il lirismo classicheggiante ed etereo della poesia ‘istituzionale’ con l’estro anarchico e la licenziosità della ballata ‘popolare’ iconica e disinibita” (dalla Prefazione di Matteo Bordiga). Ma, per intenderlo, è necessariamente indispensabile, risalire al suo modello non dichiarato, che si rivela un Gabriele D’Annunzio: studiato, assimilato, praticato, distante dalle perniciose vulgate ideologiche e dalle precipitose interpretazioni critiche. “D’Annunzio […] è presente in tutti perché ha sperimentato o sfiorato tutte le possibilità stilistiche e prosodiche del nostro tempo. In questo senso non aver appreso nulla da lui sarebbe un pessimo segno” (Montale). La proficua attenzione e dedizione che Maltese ha dedicato al Vate pescarese, lo ha portato a stabilire un parallelo estetico-espressivo, totalmente personale e individuale, debellando il germe della caricatura per sostituirlo con quello del sogno (della letteratura, non della natura), che vive nel labirinto della mente e produce il mistero delle essenze verbali. Il D’Annunzio malteseniano avverte la resurrezione dello spirito dopo il disastro della carne; la purificazione dopo aver toccato il fondo grumoso ed eroso dell’abiezione. Gianni, con questa prima silloge poetica, prende le giuste misure critiche da quella canaglia proterva e paesana che, armata da una stupidità minacciosa e da una ostinata mediocrità, tenta miserabilmente di ostacolare la capacità conoscitiva e lo stupore rivelante dei poeti, che, nei loro slanci immaginativi e nei loro scatti riflessivi, creano e consegnano ai posteri-passivi. Uno sguardo, quello poetico, di preveggente liricità, ampiamente e profondamente mobile: riportato all’ordine della forma, che è un riverbero dell’ordine della ragione.
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