150 anni d’Italia – Rose Montmasson, l’ unica donna tra i 1000


L’amore per Crispi
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Francesco Crispi |
Lui era un avvocato trentenne , lei era solo una lavandaia. Si era innamorata, per lui era diventata una cospiratrice. L’ aveva seguito quando era un poverissimo rivoluzionario e lei lucidava i pavimenti nella case dei signori per mantenerlo. Si erano sposati a Malta: anche allora bisognò fare in fretta, su Crispi pendeva un decreto d’ espulsione. Era conosciuta e ammirata da tutti. Poi, rapidamente, lui era diventato importante e noto frequentatore dei salotti eleganti. E per Rosalie erano cominciati i guai. La compagna di lotte, la donna che aveva mantenuto sé e il suo uomo coi lavori più umili era invecchiata e divenuta quasi ingombrante. La sua conversazione non era brillante, ogni suo gesto tradiva le umili origini. Non era più all’ altezza di un uomo che amava il lusso e che era oggetto di riverenza. D o p o vent’ anni di matrimonio,Crispi si appiglia a cavilli per sostenere che il loro matrimonio non è mai stato legalmente valido, a causa di alcuni vizi di forma.Prese come nuova moglie una donna dell’alta borghesia. Al ministro Crispi venne contestato il reato di bigamia, ma il giudice istruttore liquidò il tutto con un non luogo a procedere. Solo così Crispi potè rientrare sulla scena politica. Verso il ministro era istintivamente scattata una solidarietà tutta maschile e politica. Difeso da Tajani, principe del Foro, Crispi avrà dalla sua l’ ordinamento stesso della magistratura: a dichiarare il non luogo a procedere è, appunto, il pubblico ministero, che funge da «rappresentante del potere esecutivo presso l’ autorità giudiziaria ». In pratica un esponente del governo, alle dirette dipendenze del ministro dell’ Interno. Cioè di Crispi. Ed è ovvio che Rosalie venga sacrificata. Schierarsi contro di lei è il male minore. Nella sentenza di proscioglimento, viene indicato come «un uomo levato a tanta altezza nella vita politica», esposto alle recriminazioni di «quella donna».
La battaglia di Calatafimi
La battaglia di Calatafimi venne combattuta il 15 maggio 1860, in località Pianto Romano, posta a circa 4 km dall’abitato di Calatafimi e a poca distanza dalle rovine di Segesta, da i Mille di Giuseppe Garibaldi, affiancati da mezzo migliaio di siciliani. Opposti a loro circa 3.000 militari borbonici che formavano la brigata al comando del generale Francesco Landi.Le truppe borboniche erano ben piazzate sulle alture del colle, in posizione favorevole, ottimamente armate e supportate da due moderni pezzi di artiglieria da campagna ed un reparto di cavalleria. All’opposto, i Garibaldini si trovavano nelle posizioni sottostanti, senza l’appoggio di cavalleria e dotati di armamenti superati e fatiscenti.Inizialmente le formazioni si fronteggiarono a distanza, lasciando voce ai pezzi d’artiglieria ed alle moderne carabine di precisione. Di tali fucili erano dotati i 400 Cacciatori Napoletani dell’8º battaglione guidato dal maggiore Sforza, corpo d’eccellenza dell’esercito delle Due Sicilie. Anche tra le file garibaldine era presente un piccolo nucleo di tiratori scelti: i 37 carabinieri genovesi, così chiamati in quanto frequentatori del regio tiro a segno di Genova, intervenuti con le proprie carabine da gara. Il combattimento, durato poco più di 4 ore, terminò con un bilancio provvisorio 32 morti. Di questi, 19 erano Garibaldini. Delle 13 perdite borboniche, due furono causate dal franare di un cannone da campagna durante le operazioni di ritirata. Il pezzo venne recuperato dai vincitori, aumentando così del 50% l’artiglieria a disposizione dei Mille. I feriti garibaldini vennero trasportati nella chiesa e nelle case del piccolo paese di Vita che, in quel frangente, fungeva da base logistica. Tra questi lo scrittore Giuseppe Bandi e i capitani Simone Schiaffino e Francesco Montanari, entrambi amici personali di Garibaldi, che morirono qualche ora più tardi. I feriti borbonici più gravi furono abbandonati dai commilitoni nella chiesa di Calatafimi e presi in cura dai medici garibaldini. Garibaldi stesso, dopo averli visitati ed essersi congratulato per il valore dimostrato, si fece garante della loro incolumità, oltre alla libertà, un tempo guariti, di poter tornare alle loro case o combattere per l’uno o l’altro schieramento.Nonostante la sovrabbondanza di medici tra i Mille, il computo delle perdite era tragicamente destinato ad aumentare nelle ore successive, per la scarsa efficacia delle cure mediche del tempo. Il bilancio definitivo fu di 33 morti e 174 feriti tra i garibaldini e 35 morti e 118 feriti tra i borbonici. Nella storia militare la battaglia di Calatafimi rappresenta un combattimento d’incontro, poco più di una scaramuccia. Purtuttavia lo scontro ebbe enormi conseguenze sul piano strategico. Il disordinato arrivo della colonna di Lanzi, con militi stremati dalla fatica e dalla fame, fece una grande impressione sulla cittadinanza palermitana. Garibaldi assurse immediatamente, nella fantasia popolare, al ruolo di condottiero invincibile, al cui comando unirsi per combattere gli occupanti napoletani.Nel 1892, in memoria di quello scontro, venne inaugurato il Sacrario di Pianto Romano, progettato da Ernesto Basile, ove sono custodite le spoglie dei caduti ed altri cimeli.La battaglia di Calatafimi, è ricordata nella toponomastica di molte città italiane.
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