Bonus bebè: da contributo di 1.000 euro a multa di 4.000
Ti dò 1.000 euro nel 2005, e te ne chiedo 4.000 (sotto forma di multa) nel 2011. Questo il senso dello strano caso ‘bonus bebè’, almeno come partorito dalla Finanziaria 2005-2006.
Ennesimo tassello di un Paese degli assurdi, di una burocrazia che fa più acqua di uno scolaposta, di un’ Italia gravata da troppi inetti – collocati su poltrone altissime della pubblica amministrazione – incapaci anche della più banale forma di comunicazione. «Caro … Felicitazioni per il tuo arrivo! Questa è certamente la prima lettera che ti viene indirizzata. È il presidente del consiglio a scriverti per porti probabilmente anche la prima domanda della tua vita: lo sai che la nuova legge finanziaria ti assegna un bonus di 1000 euro?». Con questa lettera, mittente un incolpevole Silvio Berlusconi, tante coppie di neo-genitori – siamo nell’ anno 2005, appunto – vengono a conoscenza dell’ esistenza di questa ‘piacevole’ nuova inserite nella legge di bilancio. Il gettone di 1000 euro spetta ad ogni nuovo nato, sempre che il reddito di mamma e papà non sia superiore ad un determinato tot. Chi ha i requisiti non deve far altro che recarsi negli uffici postali, auto-certificare il proprio reddito e, quindi, ritirare i soldi. Un gioco da ragazzi, apparentemente. Apparentemente, appunto. In terra italica il binomio burocrazia-comunicazione è un mostro capace di nascondere le peggiori insidie. E l’ inghippo, questa volta, si cela nella comunicazione pedestre di quella missiva. Reddito complessivo non superiore ai 50.000 euro, si diceva: questo il tetto, non specificandosi se esso sia da intendere come lordo o netto. La formula poco chiara, imperdonabile per chi vive nella burocrazia, trae in inganno 8.000 famiglie che rispondono all’invito del premier, credendo di avere i requisiti. In sostanza, molti intendono la somma come netta: in realtà essa era lorda. I beneficiari intascano, dopo aver consegnato l’ autocertificazione, e vanno via ringraziando Berlusconi ma, soprattutto, Tremonti. Si, già allora era ministro dell’ Economia. Ora viene il bello: sei anni dopo, quando anche i più pallidi ricordi di quel bonus si erano dissipati, arriva la doccia fredda. Gelida, per meglio dire.A chi non avrebbe avuto diritto di chiedere il bonus, arriva la richiesta di restituire i 1000 euro e, come se non bastasse, pagarne 3000 di multa. La ‘cartolina d’ auguri’ giunge dalla Ragioneria dello Stato e presenta un tono deciso e perentorio: si rinvengono espressioni tipo ‘riscossione illecita del bonus’, ‘autocertificazione mendace’ e, ancora, ‘segnalazione alla Procura della Repubblica’. Le circa 8 mila famiglie a cui è arrivata la lettera passano settimane brancolando nel buio, timorose delle eventuali ripercussioni penali, finendo in un circolo vizioso di telefonate e mail, girovagando, in un vorticoso rimbalzo, tra uffici comunali, difensori civici e le varie ragionerie dello Stato regionale. Dopo varie interrogazioni parlamentari in merito, arriva il chiarimento del ministro Carlo Giovanardi. Questi assicura che le famiglie chiamate in causa «sono tenute a restituire esclusivamente la somma indebitamente percepita, senza alcuna maggiorazione a titolo di interesse». Tradotto, significa che non dovrebbero pagare i 3000 euro di sanzione, né gli interessi maturati nel frattempo, ma solo le 1.000 euro del bonus. A rafforzare questa soluzione, un emendamento collegato all’ultima manovra, presentato da Gilberto Pichetto Fratin del Pdl, approvato in Commissione Bilancio del Senato e poi dal Parlamento. Si avranno, quindi, 90 giorni di tempo – decorrenti dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dellla legge di bilancio – per restituire i 1000 euro del bonus. Senza pagare, si ribadisce, i 3000 euro di sanzione. Il caso è chiuso, ma la prossima volta, cara pubblica amministrazione, un pizzico d’ attenzione in più!!
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