Il resto dell’ onestà politica?Nella capacità istituzionale
Rubrica curata da Arturo Olibano Una concezione pertinente del rapporto fra etica e politica, è stata disposta e decisa in modo definitivo, in una fondamentale e memorabile pagina di Benedetto Croce :”Un’altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa dell’ “onestà” nella vita politica. L’ideale che canta nell’anima di tutti gl’imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie […]. È strano che, laddove nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurghi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatoria, nelle cose della politica si chiedono, invece, non uomini politici, ma onest’uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura. “Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica?” si domanderà.
L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze”. Questo discorso si arresta e finisce, conclude Croce :”nel caso in cui la disonestà coincide con la cattiva politica, con l’incapacità politica, da qualunque lontano motivo sia prodotta, virtuoso o vizioso, e in qualunque forma si presenti, cioè come incapacità abitudinaria e connaturata, o incapacità intermittente e accidentale”. Ma questa posizione del Senatore di Pescasseroli, appare, ancora, caricata da una tensione e una declinazione moralistica, rispetto a quella di Baruch Spinoza :”Morale non è compiere una buona azione e immorale una cattiva azione; ma morale è ciò che fa crescere la conoscenza, immorale ciò che l’arresta o la diminuisce”. Infatti, siamo chiamati ad educare la nostra coscienza attraverso la conoscenza, che si sforza di capire, soppesare, riflettere, valutare con serenità, discernimento, senza preclusa ostilità: prima e più, di giudicare e condannare. Ergo: il vero problema è la riforma interiore dell’uomo, inscindibile dalla cultura e dal sapere; da una conoscenza che fortifichi e sostenga la scienza, l’azione politica: luogo di esercizio e rappresentazione del pensiero. Una “scalata di pensiero, dove i libri, in questa abbagliante visione della loro enciclopedica latitudine e della loro natura universalizzatrice, sono ben più che strumenti d’apprendimento tecnico, o professionale; sono l’opera per eccellenza; sono l’espressione adeguata del genio; sono la carta moneta equivalente dell’immortalità e della gloria; sono il succo essenziale della civiltà. […] Senza di essi non si sta più. E con essi si sta sempre bene” (G. B. Montini, Studium, 1927).
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